Le riviste femminili durante il fascismo

Brevissimo excursus tra le riviste femminili durante il fascismo
A cura di Patrizia Caccia

Una delle armi utilizzate dal regime, affinché il suo disegno totalitario penetrasse e attecchisse in tutti gli strati della collettività con la maggiore forza possibile, fu l’incessante opera di propaganda perpetuata tramite i mass media. Nel mondo delle donne questo avvenne anche attraverso la stampa ad esse dedicata. Milano, che vide la nascita nel 1786 del “Giornale delle dame e delle mode di Francia”, la prima testata femminile modernamente intesa, fu la protagonista di questa stagione. La città meneghina, che ospitava già dal secolo scorso il più alto numero di case editrici e tipografiche, a partire dagli anni Venti del XX secolo, assistette al consolidamento di questo primato con la comparsa sulla scena di Arnoldo Mondadori ed Angelo Rizzoli. L’editoria italiana, da impresa artigianale, si trasformò in industria. I due dinamici imprenditori, da un lato, intuirono le aspirazioni delle donne, che, seppur per un breve periodo, avevano ottenuto, all’indomani della Prima Guerra Mondiale, un ruolo più rilevante nella società e, dall’altro, ebbero il coraggio di introdurre in Italia nuove tecniche tipografiche come quelle utilizzate per la stampa dei rotocalchi, ovvero di un tipo di pubblicazioni caratterizzate da basso prezzo, alta tiratura e da un largo uso delle fotografie. Un ulteriore fattore di diffusione della stampa femminile fu lo sviluppo del settore pubblicitario che intravide nelle pagine delle riviste per “sole donne”, ovvero per “consumatrici”, una straordinaria chiave per stimolare necessità da soddisfare.
Le riviste che nacquero a Milano nel Ventennio furono una cinquantina ed andarono a sommarsi a quelle già esistenti. Ampliando l’orizzonte alla Lombardia, se nel 1920 si potevano contare 62 testate, nel 1935 il loro numero lievitò a 154.
L’introduzione di tecnologie che abbassavano i costi di produzione e la conseguente invasione del mercato da parte di periodici popolari non determinarono però la cessazione delle riviste di lusso, che continuarono ad attirare una discreta schiera di lettori. Quelle di maggior rilievo come “Dea”, “Lidel”, “Fantasie d’Italia”, “La donna” poterono vantare la collaborazione non occasionale di prestigiose penne sia nel campo della grafica che del giornalismo. Queste testate, inoltre, godettero di un maggior grado – sempre limitato beninteso – di autonomia rispetto al regime che promuoveva un modello “mediterraneo” di donna: rassicurante, depositaria di valori tradizionali legati alla famiglia, capace ed orgogliosa di dare figli alla patria. Accanto alle riviste femminili di moda una non trascurabile posizione fu quella occupata dai periodici di orientamento religioso come “Alba”, che cercò di liberarsi della riduttiva etichetta di settimanale cattolico, o come “Fiamma viva”, edito da “Vita e pensiero” di Agostino Gemelli.
Quasi inevitabile fu la risposta affermativa delle redazioni agli appelli all’italianità e ai valori sostenuti dal fascismo, adesione che il regime ricercò con tenacia sottolineando così quanto le riviste fossero uno strumento fondamentale per il sistema.

Per approfondimenti vedi anche:

Bibliografia dei periodici femminili lombardi. 1789 – 1945. A cura di R. Carrarini e M. Giordano, Milano, editrice Bibliografica, 1993.

Libri giornali e riviste a Milano. A cura di F. Colombo, Milano, Abitare Segesta cataloghi, 1998.

Le scansioni sono disponibili su concessione della Biblioteca Nazionale Braidense e del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali; è vietata qualsiasi ulteriore forma di riproduzione.

La donna
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Fantasie d’Italia
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Lidel
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La piccola italiana
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La donna fascista
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Vita femminile
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Fiamma viva
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