Il giallo del catamarano

Florido Borzicchi è uno di noi. Cronista fino al midollo, appassionato, tenace e coraggioso. Nel 1988 gli capita di seguire un fatto che diventa subito un giallo, il giallo del catamarano. Al largo di Senigallia, in Adriatico, viene ritrovato il corpo di Annalisa Curina, skipper, esperta navigatrice: è stata massacrata a colpi di accetta e finita con un coltello da sub. Era partita il 10 giugno con Pippo Di Cristofaro, detto Rambo, e la sua amica olandese, Dyane Beijer: per tre milioni di lire doveva portarli alle Baleari, una crociera romantica. Il cadavere sfigurato di Annalisa affiora il 28 giugno, impigliato nella rete di un peschereccio. Comincia la caccia al catamarano. Si muovono Interpol e polizia locale. Non si sa nulla del movente: gelosia, soldi, rapporti omosessuali. I fuggitivi, che hanno arruolato un marinaio olandese,vengono segnalati al largo di Marettimo, in Sicilia. Tutti i cronisti si danno da fare. Qualcuno affitta una barca. Qualcuno addirittura un elicottero. Borzicchi rischia il tutto per tutto e va in Tunisia prima degli altri. Al suo giornale, Il Resto del Carlino, non hanno sue notizie per due giorni. Poi ricompare con lo scoop. In seguito l’assassino e l’amica vengono catturati. Di Cristofaro confessa: sarà condannato a trent’anni di carcere.

La scrittura di Borzicchi è colloquiale, semplice ma avvolgente. Porta il lettore a partecipare all’avventura. Il cronista si lascia anche andare all’ironia. E’ un modo per non apparire tronfio e sussiegoso. Ha trovato il catamarano della morte, non deve forzare niente, gli basta descrivere, raccontare. Pennellate rapide, da impressionista. Gli danno il “Premiolino”. Borzicchi viene da una scuola di giornalismo: quella di Nino Nutrizio, mitico direttore de “La Notte”, quotidiano milanese del pomeriggio. Si insegnava a correre sempre sul posto, a interrogare la gente, a raccogliere i particolari, a verificarli con altre fonti. Bisognava anche procurarsi le fotografie. Borzicchi ricordava un trucco imparato dai veterani del mestiere: un piede davanti allo stipite della porta, per evitare che gliela chiudessero in faccia. Gli servì a Klakenfurt, nel 1981, quando bussò a 500 porte per individuare due sorelle che sarebbero diventate testimoni chiave del caso Calvi-Ambrosiano, il crac giudiziario-finanziario che portò a galla la loggia P2 e la mafia negli affari: anche qui vinse il Premiolino.

GianGiacomo Schiavi

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