Il giornalismo del futuro. Dalla penna di Verne.

“Invece di essere stampato, l’Earth Chronicle viene raccontato a voce ogni mattina agli abbonati, i quali, in interessanti conversazioni con i cronisti, gli statisti e gli scienziati, apprendono le notizie del giorno. Inoltre, ogni abbonato possiede un fonografo e lascia a questo strumento il compito di raccogliere le notizie ogni volta che gli accada di non essere dell’umore adatto per ascoltare direttamente. Allo stesso modo, gli acquirenti di singole copie possono apprendere a un prezzo insignificante tutto quello che c’è nel giornale del giorno, a uno qualsiasi degli innumerevoli fonografi messi quasi ovunque”.
Ecco il giornalismo alle soglie dell’anno 3000. Il 25 settembre del 2889, per l’esattezza. Notizie, cronache, commenti. Ma non più carta stampata. Il quotidiano tradizionale scompare. Niente edicole, ma fonografi agli angoli delle strade. Il giornalista non scrive, racconta a voce. Al telefono. A milioni di abbonati ogni mattina. E loro ascoltano e interagiscono con lui, con gli opinionisti, con gli esperti. Addirittura, con gli statisti. Sempre che siano dell’umore adatto. Altrimenti si limitano a registrare, per poi riascoltare.

Ciò che a un qualsiasi amante della carta stampata suonerà come l’ennesima apocalittica previsione della scomparsa dell’articolo, della parola scritta, è in realtà l’immaginifico ed entusiasta racconto del giornalismo del futuro, ad opera del padre della fantascienza, Jules Verne. Nel 1889 la rivista newyorkese The Forum pubblica un racconto ideato dal figlio di lui, Michel, ma riveduto e firmato dallo scrittore, dal titolo “In the year 2889” (tradotto l’anno successivo in francese come “La giornata di un giornalista americano nel 2890”). La storia è quella di Fritz Napoleon Smith, proprietario dell’Earth Chronicle, inventore del “giornalismo telefonico”, nonché uomo più potente d’America (“lui è oggi il re dell’editoria e certamente sarebbe il re di tutti gli americani, se gli americani potessero mai accettare un re”).

Verne segue una giornata tipo dell’editore, nell’avveniristica sede del suo giornale, in una città dove ci si sposta su linee trasporto aereo e in tubi pneumatici e dove la temperatura viene tenuta costante in tutte le stagioni. “Il turno di lavoro giornalistico è appena iniziato. Lui entra in primo luogo nella sala dei romanzieri, una immensa stanza sovrastata da un’enorme cupola trasparente. In un angolo c’è un telefono, attraverso il quale un centinaio di letterati dell’Earth Chronicle a turno raccontano al pubblico un centinaio di romanzi a episodi quotidiani”. Poi Fritz Napoleon Smith va a controllare il lavoro in atto nella “sala dei reporter. Qui 1500 reporter, nelle rispettive postazioni e con davanti a sé un uguale numero di telefoni, stanno comunicando agli abbonati le notizie del mondo raccolte durante la notte. L’organizzazione di questo impareggiabile servizio è stato spesso descritto. Vicino al suo telefono, ogni giornalista, come il lettore è consapevole, ha di fronte a sé una serie di commutatori, che gli permettono di comunicare con ogni linea telefotica desiderata. Perciò gli abbonati non solo ascoltano le notizie, ma vedono gli eventi. Quando viene descritto un incidente che appartiene già al passato, assieme al racconto vengono trasmesse fotografie dei suoi principali aspetti. E per di più non c’è confusione. Le informazioni dei reporter, proprio come le diverse storie e tutte le altre parti del giornale, sono classificate automaticamente secondo un ingegnoso sistema e raggiungono l’ascoltatore nella dovuta successione. Inoltre, gli ascoltatori sono liberi di ascoltare solo quello che li interessa in particolare. Essi possono a piacimento prestare la loro attenzione a un giornalista e negarla a un altro”. Verne segue poi Smith nel comparto pubblicitario, che si regge tutto sulla “pubblicità atmosferica”, proiettata sulle nuvole, in modo che “possa essere vista dalle popolazioni di intere città o anche di interi Paesi”. E ancora nei suoi colloqui con capi di Stato cui detta la linea politica, nei suoi incontri d’affari, nell’attività di mecenate di artisti e scienziati. Sempre con lo sguardo incantato di chi narra prodigi, di chi vede molto al di là della sua epoca e della possibilità che essa offre.

Il giornalismo del 2889 appartiene a un futuro remoto per Jules Verne, che nel 1889 prova a descrivere l’inimmaginabile partendo dalla invenzione più avveniristica del suo tempo, il telefono. Un futuro polveroso e già antiquato oggi, dopo la rivoluzione tecnologica. Non abbiamo ancora la pubblicità sulle nuvole, ma audio e immagini sono ormai strumenti propri del linguaggio giornalistico, che ha intrapreso la via indicata dalla fantascienza di fine ‘800 e in qualche modo, con radio e televisione, l’ha superata. Vero è che si procede sempre più nella direzione della personalizzazione dell’informazione e che il testo scritto su supporto cartaceo è sottoposto alla continua sfida di video e audio. E allora Verne si inserisce perfettamente nel dibattito attuale, sollecita la riflessione e lascia la sua profezia, per ora non avverata: il quotidiano su carta stampata scomparirà.

Serenella Mattera

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