Dal Corriere dei Piccoli a Tuffolino: Il fumetto di propaganda italiano

Fumetto e cinema, in evidenza • Visualizzazioni: 9819

di Alex Miozzi

Un conflitto lo si può combattere con molteplici mezzi, e mai come in entrambe le guerre mondiali vennero impiegati un incredibile numero di strumenti, inclusi quelli relativi alla propaganda.

Per quanto riguarda la Seconda guerra, oltre alla radio, al cinema e alla letteratura, anche il fumetto contribuì a mantenere alto lo spirito delle masse delle nazioni impegnate.

La nascita del fumetto in Italia

Il Corriere dei Piccoli, supplemento per bambini accompagnato alla Domenica del Corriere esordì nel 1908, seguendo le indicazioni del magnate americano dell’editoria, William Randolph Hearst, che insieme a Joseph Pulitzer, fu in qualche modo l’inventore del giornalismo popolare di intrattenimento, e, in qualche modo, padrino di Yellow Kid, il primo vero fumetto della storia. A quell’epoca, i fumetti italiani non avevano i fumetti, ergo i balloon, ma versi in rima collocati all’interno di una didascalia ai piedi o alla spalla dell’immagine.

 

Yellow Kid

Soprannominato anche Corrierino, per distinguerlo dal senior Corriere della Sera, negli anni a venire avrebbe visto la presenza di importanti personaggi ricordati ancora oggi, l’autoctono Signor Bonaventura, di Sergio Tofano, oltre a star americane come The Katzenjammer Kids, Buster Brown, Happy Hooligan, Felix The Cat, e Jiggs and Maggie, che da noi divennero Bibì e Bibò, Mimmo Mammolo, Fortunello, Mio Mao, e Arcibaldo & Petronilla.

 

Katzenjammer Kids, alias Bibì e Bibò

Forte di circa 80mila copie vendute, il Corriere dei Piccoli divenne un canale propagandistico già in occasione della guerra di Libia (o guerra Italo-turca, combattuta tra il 1911 il 1912), sulle cui pagine esordiva Gian Saetta, un aitante bersagliere che combatteva, come da copione, nemici ridicoli e dannosi. È da notare che per la prima volta il mondo belligerante degli adulti si rivolgeva a quello dei più giovani, a ben vedere futuri soldati da impiegare nei successivi conflitti, superando così la barriera della precedente narrativa di formazione, che vedeva come massimi esponenti romanzi come Pinocchio di Carlo Collodi e Cuore di Edmondo de Amicis.

La stessa editoria, con editori come Vallardi, incominciò a orientarsi in direzione della letteratura per l’infanzia a prezzi modici, con la trattazione di nuove tematiche, almeno per l’epoca, quali avventura ed esplorazione di nuove terre, conquiste coloniali, una novità per l’Italia, oltre al colonialismo, senza dimenticare il patriottismo, alle volte sotto una prospettiva più o meno volontariamente razzista.

Il fumetto italiano dopo l’avvento del fascismo

Benito Mussolini, da ex maestro elementare, che considerava gli italiani al pari di bambini da educare, comprese l’importanza della riorganizzazione scolastica, di tutte le attività associative, e di ogni altro aspetto riguardante la società di quel tempo, ed essendo stato anche giornalista, incluse anche la comunicazione. Per cui, anche il fumetto, inteso non solamente come canale ludico-educativo, ma anche come strumento propagandistico, divenne oggetto di un significativo riadattamento. Infatti alcuni milioni di giovanissimi, che, a vario titolo, costituivano il corpus dei piccoli italiani futuri cittadini, e potenzialmente anche soldati, secondo il regime necessitavano di un doveroso indottrinamento verso un’identità nazionale fascista. Forse meglio di quanto accade oggi in Italia, e probabilmente anche a causa di un significativo analfabetismo, le immagini, di cui si compone il fumetto, giocavano, e da sempre giocano, un ruolo determinante nella sua comunicazione.

Immagini e testi

Nella sostanza i fumetti sono immagini accompagnate da brevi ma incisivi testi, a metà strada tra le didascalie esplicative e i veri e propri slogan. Scott McCloud, fumettista americano e studioso del fumetto, la definisce come “arte sequenziale scritta e disegnata”. Nel caso nazionale, il fascismo aveva gioco facile nella rappresentazione grafica avendo, per cultura e tradizione, a disposizione un pantheon di personaggi autoctoni, storici, del folklore nazionale o regionale, oltre naturalmente a quelli stranieri adattati per lo scopo, a differenza, per esempio, della Germania nazista, che attraverso esoterici cerimoniali popolari ha avuto la necessità di creare dal nulla una propria identità collettiva.

Importanti ancora oggi sono le testimonianze degli scrittori Italo Calvino e Gianni Rodari (di cui quest’anno ricorre il centenario dalla nascita, ), i quali, anche per averne fruito in giovane età proprio in quell’epoca, al netto di inutili snobismi, hanno sempre ritenuto il fumetto come la prima lettura veramente spontanea e naturale del bambino, oltre che propellente per l’immaginazione.

Le nuove testate italiane a fumetti

Già all’inizio degli anni venti del Novecento è possibile tracciare uno spartiacque, che vedrà in seguito un importante allargamento della forbice, tra fumetti di editori indipendenti da quelli dichiaratamente militanti, che, per una bizzarra circostanza, avrebbero visto chiudere i battenti delle loro testate proprio in occasione dell’entrata in guerra dell’Italia.

A meno di un anno dalla Marcia su Roma, esordì Il Balilla, che in breve tempo divenne il diretto antagonista nelle edicole del citato Corrierino. Le tematiche, a partire proprio dall’epica eroica dei protagonisti del suddetto putsch di alcuni pochi mesi prima, pesca nell’esperienza vittoriosa dei soldati della Grande guerra, baluardi dell’italica difesa. 

 

Il Balilla

Di lì a poco, questa editoria popolare vide il terzo grande protagonista di quegli anni ne Il Giornalino, quest’ultimo di matrice cattolica, tutt’oggi presente nelle nostre edicole con 93 anni di storia sulle spalle.

Per tutti gli anni Trenta del Novecento, i protagonisti di quest’ambito sono editori come la fiorentina Nerbini, dell’editore, e camerata della prima ora, Mario Nerbini, oltre alla milanese Mondadori, di Arnoldo Mondadori, le quali, tra le altre cose, si avvicendarono nella pubblicazione dell’edizione italiana dell’americano Topolino, alias Mickey Mouse. Di ben altro stile è Jumbo, nato nel 1932, settimanale con storie a puntate sulla falsariga dell’Inglese Rainbow (con tanto di gioco di parole), il primo eroe di fumetti fascista in cui si creò un compromesso tra la didascalia autarchica e il ballon straniero. Sempre della Nerbini, a dispetto dell’appartenenza personale al regime da parte del suo titolare, a questo punto ipotizziamo più formale che sostanziale, è del 1934 la pubblicazione de L’Avventuroso, che per primo elimina le didascalie utilizzando i balloon per i dialoghi, ospitando i grandi protagonisti del fumetto Oltreoceano, da Flash Gordon, di Alex Raymond, a Mandrake (il mago, The Magician), di Lee Falk, e disegnato da Phil Davis, e l’Uomo mascherato (The Phantom, il Fantasma, o l’Ombra che cammina), sempre di Lee Falk ma disegnato da Ray Moore, primo super-eroe in calzamaglia. Tarzan, noto anche come uomo della giungla (tratto dal romanzo Tarzan delle Scimmie, scritto da Edward Rice Burroughs, ed editato in volume nel 1914, e oggetto successivamente di svariate pellicole cinematografiche), altro mattatore di quegli anni, insieme ad altri personaggi minori, esce diversamente con L’audace. Vi è poi Lucio l’Avanguardista (semi-plagio di “Rob The Rover”), intrepido aviatore paladino della giustizia, che si sposta con il suo biplano Dux, ed è fidanzato di una ragazza di nome Romana. 

Le forbici della censura si fecero già sentire allora, con il dottor Zarkov, braccio destro di Flash Gordon, che diventa un più italiano Zarro (sic!), oltre a modifiche grafiche, dai vestiti di alcune protagoniste femminili alla ricolorazione di capelli, da biondo, quindi bianchi nel bianco e nero originale, a neri, perché ritenuti più mediterranei.

 

Flash Gordon ne “Il razzo celeste del dottor Zarro” (ristampa)

Con una storia ben più longeva, rispetto all’editoria definita militante, saranno diversamente Il Monello, nato nel 1933, L’Intrepido, del 1935, insieme a Il Vittorioso, settimanale che, a dispetto del nome, è di orientamento cattolico (e che vedrà la cessazione delle pubblicazioni solo nel 1966), che pubblicavano materiale fumettistico esclusivamente autoctono.

La svolta coloniale e la deriva autarchica

Con l’aggressione all’Etiopia, nel 1936, la proclamazione dell’impero italiano, lo sciagurato avvicinamento alla Germania nazista, e le conseguenti sanzioni ad opera della Società delle Nazioni, e in ogni caso una certa ostile insofferenza nei confronti delle democrazie occidentali, in primis contro gli Stati Uniti, fino al 1938, anno in cui furono promulgate le vergognose leggi razziali, anche il fumetto ebbe una propria involuzione. Le maglie della censura si fecero sempre più strette, e il controllo preventivo, compiuto in ogni ambito, non risparmiò nemmeno il fumetto, tant’è che un’ordinanza del cosiddetto MinCulPop, il Ministero della Cultura Popolare, venne proibita tout court la pubblicazione di tutti i comics americani, tranne che di Topolino, personalmente graziato dalla stesso duce. All’interno de L’avventuroso, le glorie americane vennero sostituite con personaggi come “I Tre di Macallè” (chiaro riferimento alla disfatta italiana di Adua), e Dick Fulmine fu trasformato, di fatto, nel pugile italiano Primo Carnera. Inoltre, Il Vittorioso, che già ospitava esclusivamente soltanto personaggi italiani, corresse il proprio tiro lanciando la nuova serie con protagonista l’aviatore “Romano il Legionario”, fino alla sua chiusura, nel 1940.

 

I tre di Macallè

Queste sostituzioni, all’insegna di una fascistizzazione sempre più marcata anche in ambito fumettistico, svuotarono a livello contenutistico questi magazine, proponendo al pubblico qualcosa di completamente diverso rispetto a quello a cui erano abituati, e sotto il profilo narrativo di qualità assolutamente modesta. Per questo motivo, verso l’inesorabile avvicinarsi del sempre più probabile conflitto, crebbe la disaffezione da parte del pubblico rispetto a questi fumetti, che, come già detto, vedranno il loro capolinea in corrispondenza dell’inizio della Seconda guerra.

I villain Stalino e Trottapiano Rusveltaccio, alter ego cartacei del presidente americano Franklin Delano Roosvelt e del dittatore sovietico Stalin, con le loro nazioni nemiche dell’Asse (rispettivamente dal maggio 1941 il primo e dal dicembre dello stesso anno il secondo), così come i protagonisti delle “Storie di Jitso”, eroi dell’invasione nipponica della Cina, non ebbero alcuna presa sui giovani lettori. Tuffolino, nel 1942, sostituì in corsa Topolino (per motivi che vedremo a breve), di cui era la versione semi-plagiata e umanizzata. Per ironia, proprio Tuffolino era disegnato da Pier Lorenzo De Vita, futura gloria Disney del dopoguerra. 

Tuffolino

Nel 1943, sostanzialmente a causa della mancanza di materiale creativo, Mondadori fu costretta prima ad accorpare le proprie testate, e l’anno dopo a interrompere le pubblicazioni. Lo stesso sostantivo fumetto, per una sorta di irrazionale stigma derivante con tutta probabilità proprio da quegli anni, avallato anche da parte del mondo culturale italiano, che, va detto, per ironia della sorte, era in larga parte composto dagli stessi intellettuali che avevano aderito al fascismo, o a cui, in ogni caso, non gli si erano veramente opposti, subirà pesanti e ingiustificati pregiudizi per qualche decennio, fatta eccezione per i suoi strenui difensori, i già menzionati Calvino e Rodari, a cui si aggiungeranno il filosofo della scienza, recentemente scomparso, Giulio Giorello, e il semiologo, scrittore e filosofo Umberto Eco.

Fonti: 

L. Bresil, A. Brusa, LABORATORIO, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori, Milano, 1994 C. Carabba, Il fascismo a fumetti, Guaraldi, Rimini, 1973 

Catalogo della Mostra ” Il Fumetto di Propaganda in Italia. Dalle origini al 1945′′-Casa Natale di Mussolini- Fondazione Franco Fossati e Comune di Predappio, Predappio, 2008 

Gli anni d’oro di Topolino 07 – Le meraviglie del domani, RCS Quotidiani, Milano, 2010 Gli anni d’oro di Topolino 10 – Il tesoro di Moook, RCS Quotidiani, Milano, 2010 

 

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