Bertha von Suttner, l’inventrice della pace

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di Valerio Marchi

130 anni fa, nel 1891, Bertha von Suttner fondava la Società austriaca per la Pace a Vienna e interveniva alla Conferenza per la Pace in Campidoglio a Roma

No, non si tratta di Bertha Krupp, figlia maggiore del «re dei cannoni» Friedrich Alfred Krupp e dalla quale prese il nome l’obice pesante M42 conosciuto come «Dicke Bertha» («Grande Berta»), usato dall’esercito germanico nella Prima guerra mondiale. La Bertha che vogliamo ricordare è invece Bertha von Suttner, praghese cresciuta nella Vienna asburgica: questa Bertha, che aborriva le armi, dedicò la propria esistenza a cercare di prevenire ogni guerra.

Sono passati 130 anni da quel novembre 1891 in cui la nostra Bertha fondò la Società austriaca per la Pace a Vienna e intervenne alla Conferenza per la Pace in Campidoglio a Roma, dove gli stessi giornalisti che l’avevano accolta con sprezzante ironia non poterono fare altro che ammirare tanto la ragionevolezza dei suoi argomenti, quanto la trascinante passione con cui li sosteneva. E Bertha, pur non sperando di ottenere risultati immediati, credeva ancora di riuscire ad evitare quella catastrofe che uno sguardo lucido come il suo già intravedeva nella Belle Époque.

Illustrazione di Martin Maack

Bertha era giunta a Roma carica di fama e di polemiche. La fama derivava principalmente da due suoi fortunatissimi romanzi pacifisti (“L’era delle macchine” e “Giù le armi!”) pubblicati nel 1889 per denunciare il nazionalismo, il militarismo, il progresso tecnico-scientifico privo di scrupoli, l’economia che investiva negli armamenti, le responsabilità dei governi, della stampa e del sistema educativo e, ancora, i legami tra guerra, miseria e ruoli di genere fondati su stereotipi di femminilità e virilità. Le polemiche, invece, sgorgavano dalla larghissima schiera di uomini che la invitavano a lasciare a loro le scottanti questioni della guerra e della pace… Ma lei, peraltro sensibile agli stimoli emancipazionisti dell’epoca, rispondeva:

«Le donne non staranno zitte. Noi scriveremo, terremo discorsi, lavoreremo, agiremo.

Le donne cambieranno la società e loro stesse».

Inoltre, non tutti sanno che se il nome «Nobel» richiama subito le idee di cultura e di pace, il merito va anche all’influenza esercitata da Bertha von Suttner, attraverso scambi e confronti continui, su Alfred Nobel, il ricchissimo svedese inventore della dinamite (nata non per scopi bellici, che tuttavia erano facilmente prevedibili): definito «il mercante di morte», egli si convertì al pacifismo e destinò gran parte del suo patrimonio all’istituzione del Premio che tutti conosciamo, assegnato nelle sue varie declinazioni a partire dal 1901.

Ebbene, la prima donna cui fu conferito il riconoscimento per la Pace fu, nel 1905, proprio Bertha von Suttner, nel frattempo sempre impegnata anima e corpo nella sua missione: una missione che nel 1911, durante una clamorosa manifestazione delle operaie viennesi per il voto alle donne e per la destinazione civile dei fondi destinati alle spese militari, definì non di «politica femminile», bensì di «politica per l’umanità», perché le donne erano di fatto la metà diseredata del genere umano.

Bertha ebbe la fortuna di non assistere alla realizzazione del suo peggiore incubo. Morì una settimana prima dell’attentato di Sarajevo, ovvero la miccia che avrebbe fatto esplodere quella polveriera poi descritta da Stefan Zweig, nel suo capolavoro “Il mondo di ieri”, con una parola verso la quale siamo oggi particolarmente sensibili: «Il sangue montava alla testa delle nazioni, congestionandole. Quasi fosse un virus». Dopo aver incontrato Bertha nel 1913, Zweig la definì un’«immensa e generosa Cassandra dei nostri tempi» che urlava al mondo intero:

«Nessuno capisce cosa sta succedendo!». 

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