Ritratto di Gustave Eiffel, che non fece solo la celebre torre di Parigi
di Valerio Marchi
Chi non conosce la Tour Eiffel? Ma non conoscono colui che ne fu l’ideatore e il costruttore: Gustave Eiffel, “il mago del ferro”, morto il 27 dicembre 1923. Attenzione, però: il lavoro da lui svolto nella sua lunga vita va ben oltre la celeberrima “Dama di ferro” di Parigi. Straordinario imprenditore, era titolare della Maison G. Eiffel – Ateliers de constructions métalliques, e filiali delle sue ditte erano disseminate nelle colonie europee e nel resto del mondo (dal Perù a Saigon a Shanghai).
I suoi ponti esistono ancora oggi
Ancora oggi esistono decine delle sue avveniristiche costruzioni metalliche, soprattutto ponti ferroviari e stradali che paiono enormi meccani, arcobaleni monumentali, strutture sospese segnate da un’artistica leggerezza e poi viadotti, gazometri, officine, gallerie di belle arti, grandi magazzini, osservatori astronomici, cupole, edifici religiosi… A soli 26 anni si affermò dirigendo i lavori della Passerella Eiffel a Bordeaux; poi, fra l’altro, realizzò ponti come il Maria Pia di Oporto (il primo dei suoi grandi ponti in ferro, un capolavoro dell’ingegneria moderna) o quello sulle Gorges de la Truyère, e ancora i viadotti di Garabit (all’epoca il più lungo del mondo) e Rouzat (forse il più bello di tutti) e poi le cupole dell’Hôtel Hermitage di Monte-Carlo e dell’Osservatorio di Nizza, sino ai magazzini Au Bon Marchè di Parigi (con una innovativa copertura in vetro e ferro). Senza dimenticare che la Statua della Libertà, progettata dall’alsaziano Frédéric-Auguste Bartholdi e donata dalla Francia agli Stati Uniti in segno di amicizia, si regge grazie alla struttura interna in acciaio realizzata proprio da Eiffel.
La Tour Eiffel ebbe un avvio tormentato
«L’odiosa colonna di metallo imbullonato, volgarità ridicola e senz’anima, barbara e sinistra come la ciminiera di una fabbrica, disonore di Parigi… Un faro, un chiodo, un candelabro la cui costruzione non avrebbe mai dovuto essere permessa»
Così l’avevano bollata sia Le Temps, pubblicando un documento di protesta firmato da 47 importanti artisti e intellettuali francesi, sia un altro influente giornale parigino, L’Illustration. Un “ecomostro” ante litteram, insomma, secondo i suoi detrattori, e numerosissime altre critiche erano piovute sulla Torre mentre essa prendeva forma in vista dell’Esposizione universale parigina del 1889, centenario della Rivoluzione francese.
Come se non bastasse, nell’inquietante clima antisemita che nel 1894 avrebbe condotto all’Affaire Dreyfus, Eiffel fu accusato di essere «un ebreo tedesco», ideatore di «una torre giudaica», benché egli di ebreo non avesse nulla. Circa il “tedesco”, poi, è vero che un suo avo, un Bönickhausen, era giunto in Francia a inizio Ottocento da un altipiano renano chiamato Eifel (con una “f”) e che Gustave (nato Alexandre Gustave Bönickhausen) prese solo a 48 anni il nome Eiffel (con due “f” – un cambiamento a lungo desiderato, viste sia la difficoltà di pronuncia di “Bönickhausen” sia l’aspra rivalità tra francesi e tedeschi)… ma Gustave, nativo di Digione, era genuinamente francese.
Un carattere battagliero
Oltre ad essere una delle menti più geniali nella storia delle costruzioni, Eiffel aveva un carattere tenace, battagliero, e nonostante le innumerevoli difficoltà, fu fiducioso sin dall’inizio del «fascino intrinseco» – come disse – della sua strana creatura che pare una giraffa: una sfida tecnologica e un capolavoro di ingegneria di oltre 300 metri destinato a diventare la «gloria della scienza per il più grande onore della nazione» (così previde Eiffel). La Torre è stata la costruzione più alta del mondo fino a quando, nel 1929, venne superata dal Chrysler Building di New York.
Per realizzarla (con 18 mila pezzi in ferro, due milioni e mezzo di bulloni, 1665 scalini, due ascensori, tre livelli, due terrazzi) Eiffel sostenne l’80 per cento delle spese e ottenne la concessione dell’opera per 20 anni. Dopodiché Parigi avrebbe dovuto demolirla nel 1909, ma il formidabile successo ottenuto indusse a non farlo. E mai scelta fu più azzeccata, se pensiamo all’enorme impatto dell’opera sull’immaginario di tutti (non solo dei francesi), alla sua importanza scientifica e militare (prima, durante e dopo la Grande Guerra) e al fatto che oggi, con circa 7 milioni di visitatori all’anno, è il monumento a pagamento più visitato al mondo.
Un giorno, ripensando al frastagliato e controverso percorso che precedette la realizzazione di quel capolavoro d’ingegneria, divenuto simbolo della grandeur francese, della civiltà industriale e della nuova architettura, Eiffel disse: «Sono rimasto saldo nella tempesta». E dopo di lui (morto poco dopo aver compiuto 91 anni) è rimasta più che mai salda la sua Torre.
Fra le altre cose – il suo era un genio poliedrico – Eiffel si dedicò con successo alla meteorologia e all’aerodinamica, sfruttando le conoscenze acquisite proprio dalla costruzione della Torre. Durante la Grande Guerra condusse ricerche sulle eliche, sulle ali d’aereo e sui proiettili, e nel 1917 progettò un aereo da caccia monoplano.
Valerio Marchi
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