Aurelio Peccei: l’uomo che sognò la tutela del Pianeta e dell’ambiente

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Moriva il 13 marzo di 40 anni fa Aurelio Peccei (1908-1984), torinese di fama mondiale, uno degli intellettuali più attenti al destino dell’umanità già nei primi decenni del secondo dopoguerra, cofondatore del Club di Roma. Oltre mezzo secolo fa avvisò (e oggi fa impressione): «Gli anni Settanta sono probabilmente una delle ultime “finestre” disponibili per lanciare un’impresa di rinnovamento umano con speranza di successo».

di Valerio Marchi

Aurelio Peccei,  Club di Roma,  19 ottobre 1976

Voce autorevole ma dimenticata
Fu una voce autorevole, ma presto dimenticata. Manager illuminato, dirigente d’azienda e fondatore e presidente di Fiat Concord e Italconsult, amministratore delegato e vicepresidente della Olivetti, fu capace di armonizzare competenze economiche, scientifiche, tecniche e politiche.

Alla base della sua attività c’erano profonde qualità morali e uno sguardo appassionato ma realistico al tempo stesso.

Fu, tra le altre cose, un protagonista della Resistenza: nel febbraio 1944 venne arrestato dalla milizia fascista e rinchiuso nel carcere di via Asti a Torino, dove rimase per undici mesi, resistendo alle sevizie inflittegli.

Sulla scia di Pietro Ferraro (1908-1974: scomparso 50 anni fa e autore di fondamentali contributi per la riflessione sui rapporti tra economia, politica e progresso tecnico), Peccei studiò la precaria situazione del macrosistema uomo-natura, proponendo una strategia globale e alcuni radicali rimedi.

A riprova del fatto che la salvaguardia del pianeta non è questione di oggi, basti ricordare che risale a 50 anni fa la prima celebrazione della Giornata Mondiale dell’Ambiente, istituita dall’Assemblea Generale dell’Onu due anni prima, nel 1972, durante la Conferenza sull’Ambiente di Stoccolma.

Peccei fu appunto cofondatore del Club di Roma, nato nel 1968 per promuovere incontri fra scienziati, economisti, politici e capi di Stato, e per sollecitare l’attenzione sui problemi che ipotecavano il futuro del pianeta. Nel 1972, introducendo il celebre rapporto I limiti dello sviluppo, promosso dal Club, chiarì che alcuni mutamenti potevano essere «irreversibili» e che «senza una forte ventata di opinione pubblica mondiale, alimentata dai segmenti più creativi della società, la classe politica continuerà in ogni Paese a restare in ritardo sui tempi, prigioniera del corto termine e di interessi settoriali o locali».

Analizzò  l’emergenza in atto (esplosione demografica, crisi ambientali ed economiche, istituzioni inadeguate, assenza di una leadership morale e politica di alto profilo…), che poteva avere«conseguenze inaudite», e osservò: «L’uomo moderno ha un potere immenso, inusitato», domandandosi poi se l’uomo stesso lo sapesse governare, ma la sua risposta fu: «No, anzi, ne distrugge alcune basi fondamentali di vita, perché non ha sviluppato contemporaneamente le sue capacità nel campo sociale, politico, morale».

Che fare, allora? Occorreva (occorre!) iniziare «a ragionare, a comportarci, a programmare come uomini», domandandoci quali misure e politiche siano necessarie per «mantenere una dignitosa qualità di vita e ogni libertà possibile, ma anche per essere sicuri della sopravvivenza dell’umanità stessa». Peccei riteneva dunque indispensabile e urgente un cambiamento radicale di mentalità, un enorme coraggio per abbandonare ogni sterile realpolitik e per assumere invece una prospettiva innovatrice, fondata su strategie globali.

All’umanità non mancavano (non mancano) gli elementi per superare le difficoltà: informazione, conoscenza scientifica, know-how tecnologico, mezzi industriali e finanziari, capacità manageriali… Ma a nulla servono – chiariva Peccei – senza «un piano di organizzazione globale dell’habitat umano, una nuova strategia planetaria di sviluppo, facendo del confronto fra Est e Ovest una cooperazione e fondando sul mutuo interesse le relazioni fra Nord e Sud del mondo».

Occorreva inoltre, «senza ulteriori ritardi, riorientare il pensiero corrente e il comportamento degli individui con una preparazione culturale capace di favorire lo sviluppo etico ed umano», perché «abbiamo acquisito un potere immenso, ma siamo terribili barbari che devono riacquistare umanità, buon senso, capacità di frenarci, di pensare agli altri uomini e alle altre forme di vita da cui dipendiamo».

Peccei chiedeva dunque di accettare le nostre responsabilità «esaltanti e terribili»: un visionario? Un utopista? Un idealista? In realtà, egli avanzò sempre numerose e ragionevolissime proposte, documentate e scientificamente fondate (leggere i suoi testi per credere).

Alcune opere di Peccei (cito alcune versioni in italiano: Verso l’abissoLa qualità umanaCento pagine per l’avvenire, Campanello d’allarme per il XXI secolo) meritano senza alcun dubbio di essere rilette oggi. 

Valerio Marchi

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