Dopo l’ultimo attentato a Hitler, la caduta della Germania

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di Alex Miozzi

Che cosa successe in Germania, dopo l’attentato del 20 luglio del 1944 contro Adolf Hitler, nella celebre Operazione Valchiria? Di certo il regime non fu più lo stesso.

Ma come si era arrivati a una mortale congiura solamente quasi alla fine della guerra, e con un numero così esiguo di militari-cospiratori?

Lo stato maggiore tedesco del führer

Il rapporto del führer con i suoi generali era sempre stato difficile. Hitler, che era di umili origini, aveva sempre dimostrato un profondo disprezzo nei confronti di un’élite militare formata dai discendenti dagli junker, sull’epilogo della Seconda guerra contribuirono altri elementi.

Manifesto elettorale di Hitler del 1933, Museo di Weimar – Foto di Valeria Palumbo.

Sia la fase pre-guerra sia la prima fase bellica, condotte in maniera spregiudicata, avevano garantito al regime nazista una serie di successi oltre ogni possibile previsione, anche sotto il profilo delle più moderne strategie belliche. Ma già dal 1942 Hitler mostrava una graduale erosione del proprio rapporto con la realtà. Un modus operandi del tutto fuori dagli schemi che lo aveva condotto alla Operazione Barbarossa, per la conquista dell’Urss, che segnò l’inizio di una picchiata verso il tracollo, alternata da successi sempre meno frequenti e sempre più effimeri.

Il suo stato maggiore era costituito da ufficiali che, nonostante una più o meno sincera fedeltà al capo, si rendevano  conto giorno dopo giorno di condurre un vero suicidio bellico. In particolare gli alti ufficiali si trovarono difronte a ordini impraticabili, del tutto avulsi dalla situazione in cui versavano le forze armate tedesche, sia sotto il profilo degli uomini che dei mezzi. Inoltre, dalla disfatta di Stalingrado, anche la stessa popolazione tedesca stava inevitabilmente perdendo fiducia nel suo leader, divenuto via via una figura sempre più lontana. 

 

Hitler: ottimismo Vs. crisi nervose

Di contro, l’ottimismo di Adolf Hitler pareva a tratti incrollabile. È pur vero che tutti i membri del suo entourage, a partire dai personaggi a lui più vicini, da Albert Speer a Joseph Goebbels, dai generali Alfred Jodl e Wilhelm Keitel (quest’ultimo soprannominato dagli altri militari “leone di gomma” ed “eroe da tavolino”), non brillavano per spirito critico: erano succubi della sua dispotica volontà, e probabilmente erano stati scelti proprio per questo.

 

Wilhelm Keitel

 

Alfred Jodl

Per quanto il führer già nel 1944 avesse evidentemente colto il possibile inizio della fine, l’esercito rappresentava per lui l’ultimo baluardo. Inoltre, i suoi più importanti strateghi militari rappresentavano un comodo capro espiatorio via via che gli insuccessi bellici si facevano sempre più numerosi e pesanti. Kurt Zeitler, chiamato a sostituire Franz Halder nel settembre del 1942, soltanto due anni dopo, a seguito delle note disfatte tedesche, peraltro non soltanto a lui ascrivibili, cadde vittima di un crollo nervoso da cui non si riprese.

 

L’ombra di un attentato

Un anno prima dell’Operazione Valchiria, il 20 luglio 1943, il führer nominò come nuovo ministro degli interni Heinrich Himmler, già Reichfürer-SS, al posto di Wilhelm Frick, definito dallo stesso capo supremo del reich come, testuali parole, “un uomo finito”. Himmler, a capo di quell’ordine nero, le SS (Schutzstaffel), che già dal putch del 1934 avevano fisicamente sterminato i vertici delle SA (Sturmabteilung), il primo esercito personale di Hitler guidato da Ernst Röhm, episodio storico noto come la Notte dei lunghi coltelli, era nei fatti divenuto l’anima operativa del nazismo.

 

Heinrich Himmler

Non è stato accertato se i servizi di informazione delle SS, insieme alla Gestapo, avessero elementi certi di una reale cospirazione ai danni del führer, pur tuttavia già all’inizio del 1944 qualcuno, in Germania, si stava effettivamente muovendo per organizzare una congiura mortale.

Secondo la prospettiva tedesca dell’epoca, era abbastanza difficile pensare seriamente a una destituzione del capo del Terzo Reich, soprattutto in quel modo. Al di là del clima di terrore, via via fomentato con sempre maggiore forza da SS e Gestapo, era impensabile per gli ufficiali tedeschi venire meno a un giuramento di fedeltà nei confronti del leader supremo, anche da parte di chi ormai lo detestava, in alcuni casi senza nemmeno nasconderlo troppo, almeno nel proprio ambiente. Furono quegli stessi granitici valori prussiani che fecero tardare così tanto un intervento in tal senso, e che, nei fatti, non permisero una maggiore adesione numerica a quel complotto.

 

L’Operazione Valchiria

Facendo un passo indietro a prima dell’attentato, elemento fondamentale della cosiddetta Operazione Valchiria, un cenno storico merita il suo protagonista, il colonnello Claus Schenk von Stauffenberg. Aristocratico di origine sveva, militare di carriera, per formazione personale e orientamento religioso aveva sempre nutrito nei confronti delle barbarie hitleriane una certa ostilità, per quanto questo non gli avesse impedito, fino ad allora, di obbedire. La sua adesione al movimento segreto resistenziale risale al 1943, anno in cui, sul fronte nord-africano, in forza alla X divisione panzer, durante un’incursione aerea alleata, perse l’occhio e la mano destra insieme a due dita della mano sinistra.

 

Claus Schenk von Stauffenberg

Insieme al colonnello Henning von Treskow e all’ex capo di stato maggiore Ludwig Beck, a Friederch Olbricht, capo dell’ufficio generale dell’esercito poi a capo del personale presso il ministero della guerra a Berlino, Erich Fellgiebel, responsabile delle comunicazioni presso il comando supremo della Wehrmacht, tutti membri di un’unità che aveva già organizzato altri attentati non riusciti, con la collaborazione di un manipolo di coraggiosi ufficiali oltre al capo dei riservisti, il generale Friedrich Fromm (il cui ruolo ambivalente è tutt’oggi oggetto di discussione), Stauffenberg divenne vice di quest’ultimo il 1° luglio del 1944. Prima del 20 luglio, il colonnello ebbe due occasioni di portare a termine l’omicidio, rispettivamente il 6 e il 15 luglio, ma che sfumarono a causa della solita fortuna di Hitler.

Il 20 luglio, presso il comando denominato Tana del Lupo, la Wolfsschanze, situata nella foresta fortificata di Rastenburg, con l’esplosione dell’ordigno che Stauffenberg aveva depositato all’interno di una valigia, il colpo parve riuscire, tant’è che per qualche ora si pensò davvero che con la morte di Hitler il regime avesse raggiunto il suo definitivo capolinea.

Venne già indicato il generale Erwin von Witzelblen, ex capo delle forze di occupazione in Francia come nuovo capo dell’esercito. Ma quando i congiurati udirono alla radio la voce di Hitler in un discorso alla nazione, che doveva testimoniare la sua incolumità, compresero di avere fallito. Per ironia della sorte, proprio quel giorno, il führer ricevette l’ultima visita del duce, Benito Mussolini, quest’ultimo a capo del regime fantoccio della Repubblica Sociale Italiana, con sede a Salò.

Hitler, insieme al duce, dopo l’attentato

 

Il dopo Valchiria

Di lì a poco, tutti protagonisti del tentato golpe furono in larga parte fucilati con l’accusa di alto tradimento senza processi preliminari. Ci furono anche alcuni suicidi. Inoltre, furono allestiti numerosi processi farsa contro i congiurati sopravvissuti alla primissima mattanza, che lo stesso Hitler paragonò alla pulizia delle stalle di Egeo. Oltre ogni possibile nozione di diritto penale, civile e militare, protagonista di questa farsa macabra fu il Tribunale del popolo, presieduto dal più nazista ed efferato dei giudici, Roland Freisler, censurato perfino dal non meno fanatico ministro della giustizia Otto Georg Thierack. 

 

Roland Freisler

Venne anche allestito un Tribunale d’onore militare, riservato ai membri in uniforme, che comprendeva tra gli altri gli stessi  feldmarescialli Keitel e Gerd von Rundstedt, e del generale Heinz Guderian. Era prevista l’impiccagione finale dei condannati, non in uniforme ma in abiti da galeotto. Un’operazione gestita da Gestapo ed SS: gli imputati e i sospettati furono anche torturati. 

Da allora in poi un clima di paranoia si impossessò dei vertici del Reich, a partire da Hitler, ai suoi fidati generali Keitel e Jodl. Graf Helldorf, capo della polizia di Berlino, già membro delle SA e nazista della prima ora, il feldmaresciallo Günther Kluge, l’ex ministro delle finanze Hjalmar Schacht, l’ex capo di stato maggiore Franz Halder, l’ammiraglio Wilhelm Canaris, insieme al feldmaresciallo Erwin Rommel, meglio noto come la volpe del deserto, oltre allo stesso Fromm, furono tra le vittime più celebri. Ma potrebbero essere stati uccise alcune centinaia di ufficiali, e, in alcuni casi, caddero in disgrazia anche le loro famiglie.

 

Erwin Rommel

 

Verso l’abisso

Alcuni ufficiali come Erich von Manstein, e successivamente Guderian, cercarono di salvare il salvabile. Per esempio tentarono di unificare l’alto comando, il che avrebbe comportato l’esautorazione del fido Keitel, cosa che Hitler rifiutò senza nemmeno prenderla in considerazione. Inoltre, il führer, durante ogni riunione, non perdeva l’occasione di indottrinare i propri ufficiali con strampalate lezioni di storia e di arte della guerra, citando periodicamente il suo modello, Federico il Grande di Prussia. Malgrado le perplessità, nessuno di loro si permetteva di obiettare. 

Al contrario, vi fu addirittura un episodio nel quale proprio Manstein, davanti all’ennesima richiesta di considerare il proprio corpo ufficiali come ultimo baluardo di difesa, lo interruppe anticipandogli addirittura la piena devozione, in aggiunta a quella testimoniata pressoché periodicamente da Keitel, Jodl e dal grandammiraglio Karl Dönitz.

Successivamente, all’inizio del 1945, proprio quando le truppe tedesche fecero ingresso a Budapest, Rundstedt, tra i più lucidi e intelligenti alti ufficiali tedeschi, presentò a Hitler una dichiarazione di fedeltà firmata da tutti gli altri ufficiali, firme raccolte dal generale Rudolf Schmundt, aiutante di Hitler per la Wehrmacht, su suggerimento di Joseph Goebbels, ministro per la propaganda, Gauleiter di Berlino e ora nuovo responsabile per la difesa civile nella guerra aerea. Questo fu l’estremo tentativo di migliorare un rapporto ormai deteriorato, ma che nei fatti sembra tutt’oggi strano, motivato da una parte nella fede cieca in un leader assoluto e dall’altra anche dalla paura di finire come i congiurati di Valchiria.

 

Gerd von Rundstedt

 

Il tentativo di un processo auto-assolutorio

Contrariamente a una certa vulgata, spinta dagli stessi protagonisti durante il dopoguerra nel tentativo di auto-assolversi, i generali nazisti non si sono mai veramente trovati a obbedire a un capo (almeno) con loro sanguinario. Adolf Hitler, privo di sincera empatia nei confronti degli altri esseri umani, anche quelli a lui più vicini, era vittima di deliri istrionici, sofferente di incredibili sbalzi di umore, ma non era pazzo, e soprattutto dimostrò di essere tutt’altro che un dilettante sia in ambito politico che militare.

All’opposto di quanto aveva fatto Stalin, che durante le cosiddette purghe, in maniera del tutto paranoica e sconsiderata, aveva fisicamente tolto di mezzo tutti i propri migliori militari e strateghi, il führer aveva fatto l’esatto contrario.  Al netto del malcelato disprezzo sopra raccontato, e nonostante un certo complesso di superiorità nei loro confronti, almeno prima dell’attento del 20 luglio 1944, non solo non aveva mai fatto loro alcun male, ma aveva provveduto, anche personalmente, a premiarli per le loro imprese, in questo modo legandoli a sé. Per tutta risposta, dato anche il senso tutto germanico (almeno allora), di cieca obbedienza al capo, i cui ordini non si discutevano, questi ultimi avevano in larghissima parte, e del tutto scientemente, deciso di seguirlo fino in fondo, riconoscendogli indiscusse abilità politiche e militari, quantomeno nella prima fase del terribile conflitto.

Il dopo Valchiria, vissuto come il più cocente dei tradimenti, cambiò le cose. All’inizio del 1945, a seguito dell’abbandono delle armate tedesche della Polonia, la reazione di Hitler fu talmente smisurata che ordinò l’arresto dello stesso Guderian, di Ernst Kaltenbrunner, capo dell’ufficio centrale per la sicurezza del Reich, e del comandante della Gestapo, Heinrich Müller. 

Del tutto singolare fu il rifiuto di bruciare la città di Parigi, ordine impartito dallo stesso Hitler nel 1944 al generale Dietrich von Choltitz, ben raccontata nei film “Parigi brucia?”, diretto da René Clément nel 1966, e nel più recente “Diplomacy – Una notte per salvare Parigi” di André Dussollier del 2014.

 

“Parigi brucia?”

Lo stesso Rundstedt fu in qualche modo salvato dalla pena di morte dal suo avversario, generale Eisenhower, durante il processo di Norimberga, grazie alla propria correttezza, ma per il resto non troviamo molto altro. Se le SS erano divenute a tutti gli effetti truppe combattenti, e soprattutto pugnale dietro alla schiena delle altre forze armate tedesche, è altrettanto vero che la stessa Wehrmacht, così come marina ed aviazione, si macchiarono ugualmente di gravissimi delitti. Ben oltre ogni possibile convenzione internazionale, le forze armate tedesche commisero svariate atrocità ai danni di altri militari, com’è accaduto agli ex alleati militari italiani nell’Egeo con i massacri di Cefalonia e Corfù. Così come infierirono contro civili e prigionieri, basti pensare al massacro delle Fosse Ardeatine a quello di Marzabotto e di Sant’Anna di Stazzema.

Proprio a partire dalla forze armate tedesche, furono davvero pochi coloro i quali vennero chiamati a rendere conto delle proprie responsabilità sotto il Terzo Reich di Adolf Hitler, e ancor meno coloro che diedero davvero segni di colpa o di pentimento.

 

I protagonisti:

Albert Speer. Venne condannato a 20 di reclusione durante il processo di Norimberga.

Joseph Goebbels. Morto suicida, insieme moglie e figli, nell’aprile del 1944 nell’ultimo quartier generale del führer, a Berlino.

Alfred Jodl. Fu condannato a morte durante il processo di Norimberga.

Wilhelm Keitel. Anch’egli venne condannato a morte durante il processo di Norimberga.

Kurt Zeitler. Prigioniero degli inglesi fino al febbraio del 1947, morì nel 1963 a Hohenschau, in Baviera.

Franz Halder. Ufficialmente congedato il 31 gennaio del 1945, alla fine della guerra fu per qualche anno prigioniero degli Alleati. Divenuto consulente presso il dipartimento di storia militare dell’esercito americano, morì ad Aschau im Chiemgau, in Baviera, nel 1972.

Heinrich Himmler. Arrestato dall’esercito britannico, si suicidò il 23 maggio del 1945.

Erwin von Witzelblen. Fu giustiziato a seguito del fallito attento a Hitler l’8 agosto 1944.

Roland Freisler. Morì a Berlino il 3 febbraio del 1945 a seguito di un bombardamento.

Otto Georg Thierack. Catturato dagli Alleati nel 1945, si suicidò il 26 ottobre 1946.

Gerd von Rundstedt. Condannato nel processo di Norimberga a 20 anni, fu liberato nel 1949, e si ritirò a vita privata. Morì il 24 febbraio 1943.

Heinz Guderian. Destituito da Hitler il 28 marzo del 1945, si consegnò il 10 maggio agli Alleati, in Tirolo, e trascorse i successivi tre anni loro prigioniero. Rilasciato nel 1948, si ritirò a vita privata e morì a Schwangau il 17 maggio 1954.

Erich von Manstein. Dal marzo del 1944 si ritirò nella riserva degli ufficiali tedeschi. Strenuo difensore della linea per cui la Wehrmacht non si fosse macchiata di crimini di guerra, nel 1949 fu recluso e condannato a 10 anni di reclusione, di cui ne scontò soltanto quattro. Morì a Icking il 9 giugno del 1973.

Karl Dönitz. Succedette ad Adolf Hitler nel maggio del 1945 con la nomina di Presidente del Reich, e firmò la resa condizionata della Germania con gli Alleati. Condannato a 10 anni per crimini contro la pace, anche a causa della sua spregiudicatezza nell’impiego dei sommergibili tedeschi U-Boot contro la flotta di superficie alleata.

Rudolf Schmundt. Arrestato nel 1947 dalle forze militari sovietiche, venne condannato a 25 anni di reclusione da un tribunale, e rilasciato il 30 settembre del 1955. Morì due anni dopo.

Ernst Kaltenbrunner. Venne condannato a morte durante il processo di Norimberga.

Heinrich Müller. Scomparve misteriosamente a Berlino nel 1945.

Dietrich von Choltitz. Passò due anni prigioniero degli Alleati, e morì a Baden-Baden il 4 novembre del 1966. Venne sepolto proprio a Parigi, le cui autorità nazionali gli riconobbero i meriti di salvatore della città.

Adolf Hitler. Cancelliere del Terzo Reich dal 1933, e capo supremo del Partito nazionalista Tedesco, si suicidò insieme sua moglie, Eva Braun, il 30 aprile del 1945 all’interno del bunker divenuto il proprio quartier generale.

 

Fonti letterarie:

“Hitler” di Ian Kershaw, ed. Bompiani

 

 

Cinematografia:

“Operazione Valchiria” di Bryan Singer

 

 

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