Evangelos Yfantidis: dall’Arcidiocesi ortodossa d’Italia e Malta a Kavala

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Arriva con il tipico bicchierone di carta in cui, d’estate, i greci bevono il caffè freddo. Ma a noi offre un espresso impeccabile. Il caffè, puntualizza, arriva da Torino. Mentre annuncio che l’elenco delle domande è piuttosto lungo, padre Evangelos Yfantidis anticipa che risponderà solo ad alcune. La parola “diplomazia” non gli piace molto se riferita al suo ruolo, ma la esercita con competenza. Ci tiene, poi, a mostrarci, le foto e le icone che gli fanno compagnia nel suo piccolo ufficio nella chiesa di Agios Nicolaos, che guida, nella cittadina di Kavala, in Macedonia orientale. Oltre a un’icona di Maria, una veduta di Venezia e una foto del metropolita Gennadios Zervós.

Evangelos Yfantidis davanti al monumento che commemora lo sbarco di san Paolo a Kavala. Foto di Carlo Rotondo

Alla fine l’intervista è durata ben più di un’ora. Padre Yfantidis ci ha fatto anche da guida nella visita alla chiesa. L’edificio attuale sorge su una moschea che ha funzionato dal 1430 al 1928. Ma quasi di sicuro, prima c’erano stati un tempio e, sopra, una chiesa protocristiana. È stata poi chiesa ortodossa, quindi cattolica al tempo della IV crociata, quando i cavalieri franchi devastarono l’Impero bizantino, e di nuovo ortodossa. In Macedonia, la Storia è un continuum. Anche se non piace a tutti. Sulla fiancata della chiesa un monumento moderno ricorda che qui sarebbe sbarcato Paolo di Tarso per evangelizzare l’Europa.

 

Acquedotto ottomano di Kavala, Grecia. Foto di Valeria Palumbo

Padre Yfantidis ama questo posto. Le circostanze della vita («La volontà di Dio», puntualizza lui) hanno fatto sì che, dopo 20 anni trascorsi in Italia, sia tornato nel 2020 a fare il parroco nella sua città natale, Kavala, appunto, e proprio nella chiesa dove era stato battezzato. Vi era tornato tutti gli anni, in luglio. Ma adesso, crede, sia per sempre. E dichiara di esserne felice. Vent’anni all’estero gli sembrano più che sufficienti. Di certo li ha trascorsi in gran parte in un ruolo di responsabilità: per 14 anni è stato vicario generale dell’arcidiocesi ortodossa d’Italia, il secondo incarico di vertice dopo l’arcivescovo metropolita. Padre Yfantidis ci tiene a sottolineare anche che la figura del metropolita Gennadios Zervós, scomparso il 16 ottobre 2020, ha reso l’esperienza particolarmente intensa. «Una figura importante per tutti gli italiani, credenti e non credenti». Essere la sua “mano destra” (come, racconta Yfantidis, Zervós lo presentava), «era un onore. Ma anche una fatica».

La sua vocazione ha un’origine familiare?

No, vengo soltanto da una famiglia di credenti. Nulla di particolare. Non ci sono figure di riferimento tra i miei parenti, in questo senso.

E la passione per gli studi storico-teologici?

È cresciuta negli anni all’Università Aristotele di Salonicco. Ho frequentato la facoltà di teologia e lì ho scoperto il mio interesse per la storia della Chiesa.

 

Evangelos Yfantidis davanti al monumento che commemora lo sbarco di san Paolo a Kavala. Foto di Carlo Rotondo

Prima della vocazione?

La vocazione si sente già da bambino. Quando mi chiedevano che cosa avrei fatto da grande, rispondevo il prete.

E nessuno l’ha mai ostacolata?

No. Anche se i miei genitori volevano che diventassi un prete sposato.

Questo ferma la “carriera” se vogliamo definirla così

Gli sposati non possono diventare vescovi. ma non tutti i celibi diventano vescovi…

 

Porto turistico di Kavala, Grecia. Foto di Valeria Palumbo.

Vent’anni in Italia…

Prima a Roma, poi parroco a Perugia, a Milano. Infine Venezia. La chiamata è del metropolita. Con Gennadios ci siamo conosciuti in Italia.

E la comunità greca in Italia?

Di quarta, terza, seconda e prima generazione… Con la crisi economica c’è stato un flusso verso l’Italia, nel 2012. Ma avevamo parrocchie anche di altre nazionalità: ucraine, moldave, rumeni, italiane… ma anche russi e serbi.

L’ha vista cambiare?

Molto. Ho visto crescere il numero degli ortodossi, in particolare greci, ma molti sono arrivati dall’Europa orientale. L’italia si è riempita di chiese ortodosse. Ci sono anche italiani che sono diventati ortodossi.

 

Evangelos Yfantidis con un padre della Chiesa di Agios Nicolaos a Kavala, Grecia. Foto di Carlo Rotondo.

Il compito del metropolita dell’Arcidiocesi ortodossa d’Italia e Malta non è solo accudire la propria comunità… è anche diplomatico?

Diplomatico? Più che altro significa creare delle relazioni con l’altro. L’arte dell’alterità, la chiamo. Come arcidiocesi non avevamo relazioni diplomatiche ufficiali con lo Stato italiano. I nostri erano compiti sacerdotali. Bisogna conoscere l’altro, collaborare, vivere insieme. In concreto ricordo le tante iniziative che abbiamo preso con il Consiglio delle chiese cristiane di Venezia per l’ambiente o per le persone in difficoltà o per i fratelli che arrivavano da Lampedusa o da altre parti.

E la convivenza, per esempio tra le comunità russe e quelle ucraine?

In generale non abbiamo mai avuto problemi. Il metropolita Gennadios aveva la grazia di unire. Così anche se si presentavano problemi, lui cercava di risolversi subito. I sacerdoti stessi erano di otto diverse nazionalità.

I riti in quale lingua sono celebrati?

Venezia è di tradizione greca e quindi si celebra perdipiù in greco, ma anche in altre lingue per aiutare i fedeli. Almeno era così finché sono stato a Venezia, adesso non saprei.

L’antica moschea di Halil Bey a Kavala, Grecia. Foto di Valeria Palumbo

Che cosa ha portato dall’Italia

Il punto di vista degli altri. L’alterità. Che è un’arte. Che si esercita con i greci stessi. Per esempio nelle mie prediche parlo dei dogmi cattolici.

Qui non ci sono comunità islamiche?

A Kavala no. Solo piccoli gruppi di immigrati. A Xanthi sì, c’è ancora una minoranza musulmana, con le sue moschee.

La Chiesa cattolica ha visto un risveglio non solo del culto ma della proclamazione dei santi. Per voi è una tradizione ininterrotta…

Ogni anno vengono proclamati tra i cinque e i dieci santi. Ci saranno finché ci sarà la Chiesa.

Che cos’è la santità oggi?

Fra parte del Regno di Dio: portare, testimoniare il regno di dio sulla Terra, vivendo in questa società. È un concetto abbastanza simile a quello attuale della Chiesa cattolica. Ma non abbiamo la canonizzazione: per noi una persona è santa prima ancora della sua morte. La Chiesa dichiara la sua santità dopo un certo numero di anni dopo la sua morte.

Evangelos Yfantidis davanti al monumento che commemora lo sbarco di san Paolo a Kavala. Foto di Carlo Rotondo

Che cosa ha trovato di diverso in Grecia dopo 20 anni?

Venivo tutte le estati. Ho vissuto con i miei parenti il percorso della crisi economica e della pandemia. Non sono caduto dal cielo. La crisi economica è stata dura: speriamo che il Paese ne sia uscito. Si vedrà davvero quando finirà la pandemia. Qui si sta ancora abbastanza bene: lo vedo dalle persone assistite. Il numero non è cambiato molto con il Covid.

Qui a Kavala si sente la pressione dei migranti ammassati al confine con la Turchia?

L’ex caserma è da qualche anno un posto di accoglienza. Ne sono arrivati migliaia. Ma, come per l’Italia, non vogliono restare qui. Però sono rimasti bloccati.

Quali sono gli altri problemi di questa zona, la Macedonia orientale?

La disoccupazione dei giovani. Vanno via: ad Atene, Salonicco, ma anche all’estero.

Tornando all’Italia e alla Chiesa cattolica…

Ammiro molto Papa Francesco. Ma ho sempre avuto una stima particolare per il papa emerito, Benedetto XV, già quando ero il cardinale Joseph Ratzinger. Mi fu indicato come teologo da studiare al mio arrivo, quando chiesi di leggere teologi cattolici. Nel suo pensiero ho trovato una grande somiglianza con il pensiero teologico ortodosso. Direi che il cardinale Ratzinger è l’ultimo teologo ortodosso in Occidente. Il suo pensiero teologico da cardinale non coincide con quello del papa, ovviamente. Le questioni relative a persona, eucaristia, chiesa erano viste dal cardinale al 90% da un punto di vista ortodosso. Da Papa ha dovuto mediare. Ha dovuto esprimere il pensiero romano. Non che abbia cambiato molto il suo pensiero. Ma ha dovuto esprimersi con il linguaggio ufficiale della Chiesa romana.

 

Vista della città vecchia di Kavala, Grecia. Foto di Valeria Palumbo

E papa Francesco?

È un altro papa. È il vescovo di Roma. L’aspetto pastorale è più evidente. Come i nostri patriarchi. Quando arrivai in Italia chiesi di leggere le interviste del Papa, che allora era Giovanni Paolo II. Non ce n’erano e mi sembrò strano perché i nostri patriarchi, almeno gli ultimi quattro o cinque, le davano abitualmente. Il pastore usa tutti i mezzi per parlare con il suo popolo. Se papa Ratzinger ha una visione teologica ortodossa, papa Francesco ha una visione pastorale ortodossa.

Padre Evangelos Yfantidis nella chiesa di Agios Nicolaos a Kavala, in Grecia, che è sotto la sua guida.

Avete anche voi una crisi di vocazioni?

Non è una crisi di vocazioni ma di nascite: meno nascite significa meno vocazioni.

Che cosa vede per i prossimi venti anni?

Per le mie due patrie, Grecia e Italia: sono certi che ce la faremo, con l’aiuto di Dio. E la sua grazia. Sono grato agli italiani per l’amore fraterno che ho ricevuto da loro in questi venti anni.

Monumento che commemora lo sbarco di san Paolo a Kavala. Foto di Carlo Rotondo

 

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